
1^ puntata
Una volta nella vita capita, mi riferisco ad una di quelle occasioni belle, quelle che arrivano all’ improvviso, quelle che fino a qualche giorno prima non passavano neanche per l’ anticamera del cervello (così diceva mia nonna)
Un viaggio in Giappone.
Ebbene si.
Beh in realtà una cosa la devo dire: questo viaggio, non è proprio piovuto dal cielo. Devo ringraziare mio marito ed il suo lavoro: si tratta infatti di un premio. Tradotto: due biglietti per Tokyo … regalati !
Dopo una prima fase di sbigottimento (molto breve) sono iniziate a fiorire in modo copioso idee su cosa fare e vedere. All’ improvviso mi sono ritrovata ad essere informata su termini, storia, curiosità, usi e costumi: giusto per non fare brutta figura.
Notoriamente la mia passione per gli aerei sta come un pinguino a Miami Beach o la tigre del bengala nei fiordi norvegesi, ma questa volta, paure, insicurezze e pensieri catastrofici da vuoto d’aria sono stati miseramente abbattuti all’ entusiasmo per il viaggio.
Mi ritrovo a scrivere queste quattro righe a 10000 metri di altitudine, mentre l’aeromobile (uso il termine preciso sentito dire durante gli annunci) si sta apprestando a sorvolare Danimarca, Russia, Siberia.
Siamo partiti da Parigi da sei ore, in Italia sono le h 22,20 sto assistendo all’ alba, il paese del sol levante si sta avvicinando.
Mi guardo un pò intorno, osservo il mio vicino, non sembra interessato a tutto ciò, sta guardando i Simpson alla TV, il mio cervello invece, è sempre più affollato di idee e molta moltissima curiosità: informazioni ne ho lette, ma difficile è scegliere cosa potremmo vedere. Questo viaggio è sempre più carico di aspettative, il risultato è comune a quello del mio vicino di posto: non chiudo occhio.
Il tempo comunque passa, ed alla fine Tokyo la si comincia ad intravvedere dal finestrino: dà subito l’idea di una città immensa e complessa.
Atterriamo, sono le h 12.20 a.m, le h 4,20 del mattino in Italia.

2^ puntata
Tokyo
una superficie di 2187 Km quadrati, su per giù 14.000.000 di abitanti .
una megalopoli,
La stanza d’ albergo? pochi metri quadrati.
Abbiamo appena appoggiato le valigie, vinto sul nascere il jet lag non c’è tempo per mettersi a dormire. Cominciamo a muovere i primi passi su questa terra lontana, non solo dal punto di vista chilometrico.
Trovarsi a passeggiare da queste parti non è proprio paragonabile a qualsiasi altra strada del mondo occidentale.
Le indicazioni, ideogrammi, tanti, moltissimi, ovvio siamo in Giappone!
Le mascherine sul volto, e se mi scappa uno starnuto? E’ un problema !
Ma c’è dell’altro: qualcosa non mi torna.
Traffico, strade enormi, otto corsie, ed il rumore ?
Mi riferisco al rumore del traffico, quello che siamo soliti sentire anche nel paesino più sperduto, ma dov’e’ finito?

Il rumore delle auto non supera una certa soglia di decibel e nessun clacson ad importunare qualche timpano umano.
Attraversando le strade, il semaforo del passaggio pedonale ha un suono particolare: mi ricorda il cinguettio di qualche specie ornitologica.
Roba da non credere.
Cominciamo ad inoltrarci nella città, senza una meta precisa.

Una distesa di palazzi ciclopici si confronta con edifici tipici della tradizione giapponese: la modernità ed il rigore più assoluto convivono in assoluta armonia con paesaggi carichi di poesia.

Ci troviamo quasi per caso in prossimità del palazzo imperiale, nonostante l’aria sia tagliente, i ciliegi hanno già schiuso nuvole di corolle dai toni bianco rosati, corolle che si confrontano con pagode, o che si specchiano su percorsi d’acqua. Un vero spettacolo.

Impossibile rimanerne indifferenti: ma perché si dovrebbe?

Infatti non siamo i soli, dopotutto… tutto il mondo è paese:
coppie di innamorati, passanti solitari autoctoni e non, la tentazione di immortalarsi tra una miriade di petali dai colori pastello è troppo forte, cominciano così i primi click della macchina fotografica.

Questa giornata sta scorrendo velocissima, siamo già al tramonto, in Italia è l’ora di buttare la pasta.

Tokyo invece, comincia a vestirsi di milioni di luci a prepararsi per la notte, anche se Tokyo non dorme mai.

Un certo languorino ci ricorda che siamo a digiuno da un pò e soprattutto che siamo reduci da 24h di viaggio, forse qualcosina di più.

Iniziamo ad inoltrarci in viuzze dense di localini tradizionali, lanterne rosse illuminate vengono dondolate da una leggero venticello, quasi volessero loro stesse invitarci ad entrare. Non c’è spazio per lunghe ricerche e così ci infiliamo nel primo locale ad ispirarci simpatia.

Entriamo, l’atmosfera è calda ed accogliente, sottofondo con tipica musica giapponese, gli odori che si percepiscono sono diversi, molto diversi da quelli delle nostre cucine.
Qualche occhiata anche da parte degli altri clienti. Un ragazzo si avvicina per l’ordinazione, l’ inchino è d’obbligo.
Cerchiamo di spiegarci in inglese, ma gli occhi a mandorla del nostro interlocutore cominciano a dilatarsi, un sorriso, il tutto per farci capire che lì dentro nessuno conosce questa fantomatica lingua: ed allora?
Passiamo al piano B: ci aggrappiamo ad una sana mimica tipica della tradizione maccheronica: sembra che ci siamo capiti, ci viene quindi servito il nostro primo piatto giapponese, o meglio ciotola: contenente riso, tempura ( verdure, funghi, gamberoni pastellati), un tuorlo d’uovo, salsa di soia, il tutto accompagnato dall’ immancabile tè versato caldo o meglio caldissimo una vera benedizione per le nostre mani che si riscaldano in pochi secondi. Non manca proprio niente, nemmeno le fatidiche bacchette: ci improvvisiamo nel maneggiarle, la cosa sembra meno difficile del previsto e così i borborigmi delle nostre pancie, vengono messi definitivamente a tacere.
